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PENSIERI IN LIBERTA’ SU IPOTESI PER UN DELIRIO NO. 2 DI NANDO SNOZZI

Incontrando la pittura di Nando Snozzi alla Galleria Balmelli in via Lugano 19 a Bellinzona (fino al 25 ottobre dal mercoledì al sabato 14.30 – 18.30) affiorano due citazioni:
“ I corpi che varcano la soglia / i corpi che escono dai muri / i corpi che passano lontano
(suppongo di vederli tra macerie e spazzatura): tutti questi corpi così, mi commuovono come se
fossero qualcos’altro e non soltanto corpi,corpi che vanno e vengono.”
(smagnetizzando liberamente un’Ode Marittima di F. Pessoa)
“Che fortuna hai di saperti esprimere così “ – gli dice ogni tanto un ammiratore. “ Io non mi esprimo, io esisto.” – e in quell’istante l’interlocutore incauto ha la sensazione di esistere nei suoi quadri con lui. (Luciano Caprile con Roland Topor)
Alla Galleria Balmelli è in mostra un quadro di 30 x 2 metri che l’artista ha dipinto durante la sua residenza in galleria di tre settimane dove i visitatori potevano vederlo all’opera ed interloquire con lui, inoltre è esposta anche la produzione artistica del 2009.
Nando Snozzi è un uomo-orchestra. In questa manciata succulenta e delirante di eventi intreccia la sua pittura, le sue riflessioni (vedi il giornale pubblicato per l’occasione) con la musica, il teatro, la poesia, il fare di altri artisti, il “pubblico” stesso che lo accompagna, lo disturba, lo stimola.
L’opera è un tessuto complesso di interferenze.
Chi guarda ha da essere come un pellegrino. La pittura del nostro non è da turisti.
Chi guarda queste mostre o segue questi eventi è chiamato ad essere collaborativi, creativo, complice. È un cercare un rapporto di conoscenza che ha pure le caratteristiche dell’amicizia.
Guardare, riguardare un lavoro in progress che appare come un paesaggio familiare. Un entrare nella pittura di Nando Snozzi e in se stessi. Una sorta di spaesamento per piazzarci anche il deragliamento del mondo.
Delirio .. delirio .. “le vaghe assomiglianze” infiniti paesaggi di solitudini dove puoi sentire quanta tragedia c’è nel nostro essere mortali. L’osceno inammissibile abisso della morte in un’arte che non obbedisce al principio del potere, ma a quello della simpatia ed (ambiziosa) ha la pretesa di porre domande sul senso .. con gravità e leggerezza sciabolata.
Nando Snozzi scaccia i fantasmi notturni (e diurni) disegnandoli e dipingendoli. Festeggia un carnevale della morte e dell’eros, del gioco e del potere, dello spavento e dello scherzo. Egli maschera il viscidume, l’eccitazione estrema, la smania di parole vuote.
Tragico e comico si intrecciano. Le figure sono sotto il tiro di tensioni e torsioni.
Volti spargimento smanacciato spreco di materia e frantumazione.
Volti costruiti secondo un’economia riduttiva che opera sulla pelle del legno.
Turbolenze, identità spericolate. La guerra è nel respiro dei corpi.
Corpi segnati dai bagliori dell’angoscia e della paura.
Rosso sangue Rosso amore. Piccole dosi di aggressione; dosi omeopatiche di violenza per “guarire” dalla guerra quotidiana; dosi insufficienti e tragicamente necessarie.
I protagonisti delle tavole, delle tele, delle carte, delle incisioni di Nando Snozzi sono “bastardi senza gloria”, sono dei sopravvissuti.
Teleri (icone sacre) di un degrado inesorabile cercano un linguaggio per condividere motivazioni, per svelare astute retoriche visive e simboliche, per la rinascita e la necessità dell’atto figurativo.
L’arte inchiodata alla vita. L’arte (come preghiera) diventa così cifra interpretativa della cultura e della sua trasformazione. Spunti di un guardare, messi da parte come mozziconi nei taschini, riaffiorano nel pittorico narrare di N.S. Interpretazioni del degrado morale dell’Occidente nel loro delirio profonde e ricche di senso capaci di far soffriggere la curiosità di ogni persona in ricerca.
Eugenio Borgna dice: “Trincee dell’esistenza concreta e metamorfiche, vissute e rivissute, quotidiane e imprevedibili, trincee dell’esistenza di ogni giorno e trincee sigillate e sconvolte dalla guerra, come dissolvenza atroce di ogni confine.”
Sono le inquinate sorgenti di questi tempi che l’artista affronta con le risorse della sua sensibilità, con gli strumenti dell’immaginazione, con la determinatezza di chi non condivide e non accetta la zuccherosa melma dell’oggi. Nando Snozzi presenta personaggi/paesaggi senza paesaggio. I loro corpi sono spazi. Li descrive come avventure. Ci pianta dentro animali invenzione di un nuovo bestiario di un Medio Evo occidentale. Ci offre la sua, la nostra “Guernica”; ci offre un articolato delirante campionario delle declinazioni dell’angoscia vissute dall’umano contemporaneo. Nando fruga e strappa le radici della quotidianità. È come un temporale fertile. Trascina in un turbine creativo. Affascina. E, la sua travolgente risata ci accompagna. In un suo testo “dalla terra degli scorpioni” scrive :
“Continuerò a camminare a piedi nudi nell’erba e dove posso,
a gustare il fresco della rugiada … quando è ancora possibile,
a rubare immagini al mondo …
a urlare, a divertirmi, a dire ciò che penso e ciò che NON voglio,
a dichiarare le mie intenzioni e a piangere lacrime di gioia e di sofferenza …”
Portare a questi eventi i bambini, i ragazzi, significa incontrare un modo di raccontare “altro”.
Così potrebbero essere artisticamente vaccinati (e non solo!), e, sarebbero un poco meno gonfi di brioches televisive.
Guardo le sue opere. Lo ascolto. Lui dipinge, parla, ride, si toglie i guanti di lattice.
Chiedo cosa sarà l’evento finale al Teatro Sociale il 31 ottobre e lui mi risponde: “Sorpresa”.
Sfoglio e sbircio e leggo il suo giornale. Me lo faccio autografare (da indefesso
rockettaro) e sgranocchiando frutta secca beviamo un bicchiere di vino rosso.

Sandro Sardella – Rasa di Varese – settembre 2009

 

 

 

 

IMMAGINI DAL RUMORE D’ACETO E MIELE

Tre momenti d’avvicinamento all’utopia resistente degli scatti pittorici di Nando Snozzi in occasione della sua mostra alla Galleria Balmelli di Bellinzona sino al 22 dicembre 2006.

 

I


I volti, sono del corpo? A volte ne dubito. Sembrano avere vita indipendente, incontrarsi senza il peso del resto. Vengono direttamente dal demoniaco e dall’angelico, dal profondo e dall’alto; il resto è solo terrestre.      (G. Ceronetti)

Nella narcotica fretta che ci avvolge non sappiamo più guardare. I volti non sono che polvere del nostro quotidiano. Nando Snozzi ostinatamente ci fa vedere visidivisi che altrimenti drammaticamente scivolano affogano scappano.
Il suo dipingere diventa come arma contro l’incessante perdita di esistenza.
Nel suo radicale umanesimo l’artista veglia e sorveglia, salvaguarda e protegge, si prende cura e cattura con il suo fare volti e corpi prima del loro totale e finale ritorno al silenzio.
Un cercatore ansioso e pellegrino di visidivisi sedimentati stratificati contaminati tra loro.
Segni – ragnatele, occhi – grotte, naso e ciglia – rilievi, bocche caverne: il paesaggio – labirinto di un volto che sta tra l’apparire e l’essere.
Il ritratto riflette insieme con le incertezze le angosce, le impotenze, le passioni, le disperazioni, i rancori, i dubbi, la rabbia in cui l’essere umano, dentro a questa melmosa e marmorea realtà, si trova coinvolto.
Nella ripetizione del soggetto un cercare di esaurire una conoscenza di un tema inesauribile nella sua complessità e mutevolezza.
Fare , rifare, ricreare il volto pensando tragicamente che la cosa forse non esiste già più mentre la si guarda, mentre la si fa.
Volti pretesto per scavare dentro gli umori della pittura.
… gialli e neri taglienti, rossi e neri avvolgenti, grigi morbidi e teneri, azzurri tutti giù per terra, visi paralizzati ti lasciano illuso padrone del nulla … verdi e viola vetrificati, gialli e rosa inaciditi, bianco e nero sfaldati su juta, slavati su carta, …
Bagliore emotivo, sussulto erotico in uno scavare dentro il colore-materia fino a lasciarlo senza grazia. Eppure sobbalzi ormai muti crescono, lì, in chi guarda e così esistono.
Il guardare è dunque un immergersi e sprofondare, concentrarsi nell’energia vitale di questi visidivisi, un’intuizione, un intervallo al flusso continuo della normalità.
Un lasciare agire la conflittualità, un sondare la tensione, il moltiplicarsi e stratificarsi in percezioni multiple e contradditorie.

 

II


.. Però la cultura non fa brodo se non è riflettuta e così reinventata viva vita sconosciuta ..
                                                                                                                           (M. Moreni)

In tempi di bellezza conquistata chirurgicamente omogeneizzata imperiale … ecco un resistere pittorico, un’arte amara, tragica ed ironica ma, anche prefiguratrice di una non utopistica integrità dell’umano troppo umano.
In questa mostra di Nando Snozzi le tele, le carte, gli acquerelli su piastrelle di marmo di Orosei 10x10 cm. vibrano, squillano, si richiamano e ci sbilanciano verso i momenti di un viaggio che il pittore compie inseguendo visidivisi come racconti vertiginosi spaesamenti in cui lo sguardo si perde nella folla o nel vuoto. Un segnare e colorare di un delicato equilibrio tra oggettività e visione caparbiamente inseguito sul filo di uno scatto sempre a rischio.
Fragilità dello sguardo contro l’eternità .. eppure il suo fare resiste oltre la disillusione in un appassionato slancio per tentare di cambiare almeno con lo sguardo .. …

 

Maschere ripetute. Ripetute non nella serialità pop di Warhol ma dentro un ritmo blues che incessante batte e ribatte vicino lontano vicino ..
Un agire per frammenti, per minuscoli brani visidivisi, icone amate-urlate.
Visioni attraversate spogliate dall’inquietudine di un’indefinita attesa colte nell’atto di andare altrove, di sparire.

 

 

III


.. Io, come un dinosauro blindato, resisto ad un ordine imposto; intuisco che si è perso il buon senso nel pascolo dello zoo universale, a vantaggio del malcostume e di un incitamento al consumo sfrenato ..       (N. Snozzi)

Ruggente e lucidissimo visionario con lo sguardo rivolto al futuro a costo di essere corroso dall’evidenza dello sfacelo.
Lapidario oratore dell’immagine.
Visi eruttati di un coraggioso inquieto navigatore in un delirio anarco-espressionista vibrante propensione ad una dimensione cosmica e armoniosa.
Libera inesauribile voce narrante e tuonante di un racconto che non ha fine o inizio, circolare e ruotante nello spazio e nel tempo dove le culture si contaminano, dove passato presente e futuro si confondono.
Visidivisi  .. e penso ai volti di Grunewald .. Goya .. Picasso .. Bacon .. Rainer .. Saura .. Vacchi .. Varlin .. Moreni .. Baj .. ..
Uno squarciare con forza e desiderio. Un aprire incerto e con paura. Il tutto insaporito con una caricata ironica risata dell’artista stesso.
Mangiafuoco soffia sulla cenere, ritrova faville e scintille.
E, nell’aria si agitano immagini, in quantità spaventosa aggrediscono, ingolfano.
Occhi assetati ascoltano le opere di Nando Snozzi.

 

Sandro Sardella, Rasa di Varese 28 novembre 2006

 

 

 

 

Le muscle de l'âme.
di Ivonne f. Manfrini

 

A Marco A Zaira
Nando Snozzi dessine, peint, parle, écrit ou parle, peint ........ Aujourd'hui ce sont les « Diari d'aria. 1991-2001 », des « Carnets d'air » pour du temps, des carnets écrits par l'air, feuilletés par l'air? Les « Diari » c'est du temps, on écrit un diario un jour après l'autre, et le temps c'est de l'air. « Diari » « D'aria », jeux de lettres. Légers jeux de lettres faits de manques et de similitudes? Intraduisible jeu de mots, presque une énigme. Il écrit :
« Il gioco del dubbio tra il sacro e il profano. » Le sacré, le profane. Une paire depuis longtemps.

« La via della croce nelle viscere dei sensi ». « La croce », l'ascèse et « i sensi », le plaisir. L'Orient sait qu'il n'y a rien d'incompatible.

« Le angoscie » mais « l'ironia », celle dont on dit qu'elle est le sourire de l'esprit ou la politesse du désespoir. Légère ironie! « Il grottesco » est apparemment plus lourd, plus voyant, mais pour Léonard de Vinci, l'auteur d'un léger sourire, il grottesco e le smorfie, les grimaces, disent les moti dell'anima, les mouvements de l'âme.

« I sette verbi », sept verbes dont on ne
sait pas si ce sont ceux qui agissent les sept Fléaux d'Egypte masquant les sept Merveilles du monde ou vice versa.

La pulsion des contraires. Nando Snozzi revendique la pulsion des contraires. Celle dont parle Georg Simmel avec tant de clarté: ce « dualisme (qui) révèle justement l'unité de la vie globale », un dualisme qu'il faut laisser s'exprimer pour entrevoir « les contrastes qui sont typiques de notre existence ». Contraste? Il n'y a apparemment pas d'ambivalence dans la recherche de Nando Snozzi, dans l'une de ses recherches, dans sa quête du sourire qui devrait lui redonner confiance dans l'être humain; « Alla ricerca del sorriso che dovrebbe rinnovarmi la fiducia nell'essere umano... ». Parce que le sourire c'est la gaieté, la joie, le bonheur. Le bonheur, le bonheur . le sourire?

libre ou contraint
épanoui ou forcé
spontané ou affecté
radieux ou pincé
chaleureux ou glacé
bienveillant ou distant
joyeux ou triste, voire désespéré
indulgent, accueillant ou condescendant, méprisant

On peut afficher un sourire jaune ou rosir de plaisir. Au sourire satanique, méphistophélique, s'oppose le sourire aux anges, surtout la nuit, quand on dort. Il y a le sourire du bout des lèvres et celui qui fend le visage comme une blessure. Il y a même la gueule en pente: une commissure qui monte, une autre qui descend. Un sourire, ce dernier, de l'entre-deux, tous les entre-deux. Un sourire indécis, brouillé. Un sourire dont on pourra dire qu'il est mi-figue mi-raisin, parce que même la botanique est convoquée. Ne dit-on pas que la nature est souriante? Mais quel est le sourire de la nature?
Le sourire. On le grimace, on l'arbore, on l'affiche, on l'esquisse, on l'offre ou on le retient. Ce léger mouvement des muscles, qui étire les commissures des lèvres vers le haut et plisse les yeux, façonne tous les mouvements de l'âme, pour le meilleur et pour le pire. Du pas de grimace à la demi-grimace en passant par l'indécise grimace ou tout à la fois. La pulsion des contraires, celle qui ordonne notre vie à notre insu, qui l'ordonne ou la désordonné, c'est selon.
Il n'y a pas que la typologie du sourire, il y a aussi celle de l'effet qu'il produit, le sourire. Parce qu'il appartient au regard, à l'échange de regards, véritable abordage, accrochage ou effleurement des âmes. Sourire, sorridere, rire en dessous, en dessous du son, rire avec du visuel. Un échange silencieux, d'autant plus efficace qu'il est silencieux? Un échange, quoi qu'il en soit, pour le meilleur et/ou L'effet du sourire. « Scrivi ciò che vuoi », « Ecris ce que tu veux », la liberté comme consigne. La consigne de Nando Snozzi. « Alla ricerca del sorriso che dovrebbe rinnovarmi la fiducia nell'essere umano... », je me suis arrêtée à sa recherche du sourire, à la mienne qui a rencontré, par hasard, celle de J.L. Borges interrogeant « le dernier sourire de Béatrice ». La Béatrice de Dante, celle que l'on associe à la béatitude; le dernier sourire de Béatrice, celui de la sérénité?

« Cosi orai; e quella, si lontana
come parea, sorrise e riguardommi ,
poi si tornò all'etterna fontana. »
« Ainsi priai-je ; et elle, si lointaine
qu'elle parût , sourit et me regarda de nouveau ;
puis elle se tourna vers l'éternelle fontaine. »

(Dante, Paradis, XXXI, 91-93, cf. infra ).

Sérénité? J.L. Borges analyse l'effet que le sourire de Béatrice produit sur Dante. Le Dante amoureux de Béatrice de Folco Portinari, mariée à un dénommé Barchi et morte à 24 ans. Deux fois perdue pour l'homme, pour l'homme « Dante » que Borges distingue du personnage du même nom. « Qu'un être malheureux imagine le bonheur, cela n'a rien de singulier; nous tous, chaque jour en faisons autant. Dante le fait comme nous mais quelque chose, toujours, nous laisse entrevoir l'horreur que cachent ces fictions du bonheur. » Pas la sérénité, dit Borges, mais le sourire de l'horreur parce que « come parea » se réfère certes à « lontana » mais contamine, dit-il, « sorrise ». Elle paraissait lointaine, ou mieux: au loin, et elle paraissait sourire. Elle paraissait seulement, fantôme de sourire, fantasme de sourire. Le sourire imaginé, rêvé, par Dante avant la disparition définitive, irrémédiable. Un sourire imaginé, seulement imaginé, celui qui ne remplacera jamais celui que l'âme n'a pas façonné, celui que le regard n'a jamais accueilli. Qui ne le connaît ce sourire du jamais ou du jamais plus? « Dernier regard, dernier sourire mais promesse certaine », une autre lecture du même sourire, une lecture moins horrible, une lecture que ne choisit pas Borges. Le sourire de Béatrice restera indéchiffrable et son effet variable. Enigme.

« Alla ricerca del sorriso che dovrebbe rinnovarmi la fiducia nell'essere umano... », dit Nando Snozzi. Quel(s) sourire(s)? Il faut peut-être lui suggérer de tourner le dos à ses images, pour un instant seulement, pour observer celui, ceux, léger(s) ou moins, qu'elles font naître sur les lèvres et dans les yeux des spectateurs. « Pourquoi as-tu choisi de parler du sourire, il n'y en a pas dans tes peintures ? ». « Regarde mieux ! ». Derrière ou à côté des masques figés toutes dents dehors, mais oui, ils sont là ; ils sont là les sourires qui nous font sourire. Pour moi, ce sont ceux des singes, ceux des loups, qui sont peut-être des louves ou quelque autre animal, ceux d'étranges volatiles et celui d'un éléphant hilare, parce que le sourire peut même être hilare, un sourire hilare qui me met le coeur en joie! Mais il y en a d'autres qui s'adressent à l'âme. Sourires légers, parfois humains, un peu cachés. Sourires pudiques?, si discrets presque écrasés par le carnaval, par la pantomime grinçante et jubilatoire à l'excès ; vous avez dit pudique? Sourires et pudeurs, des « Diari » « D'aria », qu'ils soient écrits ou imagés, énigmes que chacun doit chercher, et peut-être imaginer, sur les toiles et en arpentant les trottoirs, les trottoirs de la ville et de la vie à la recherche de l'abordage-accrochage-effleurement.

Ivonne - F. Manfrini

Georg Simmel, La mode, in : La tragédie de la culture , Rivages,1988.
J.L. Borges, Neuf essais sur Dante , Gallimard ,1987 .
(La citation et la traduction sont celles de la traduction d'Hector Bianciotti).

 

 

 

 

 

 

Da: Gianpiero Snozzi <famille.snozzi@bluewindow.ch>
A: Nando Snozzi < nando_ snozzi@datacomm.ch >
Data : Martedì, 15 maggio 2001 20:45
Oggetto: chi-la-dura-la-vince"deux" et trois

C'est la troisième fois que je recommence et j'en ai presque ras-la-patate. Si je n'abou­tis pas cette fois, je laisse définitivement tomber l'idée de t'écrire. Parce que tout commence lorsque l'idée jaillit; d'où, je ne sais pas, mais elle jaillit. Comme un champignon qui pousse sous les sapins ( image bucolique par excellence ), le petit chaperon rouge, le loup, la grand-mère, la mère, le père; non excuse-moi, je fais fausse route. Heureusement d'ailleurs.
Revenons à nos champignons. Ils sortent de la terre en poussant tout ce qu'il y a autour. Des fois, ils poussent même de la merde. Mais lorsqu'ils apparaissent, ils sont toujours beaux. Je pars du principe qu'une idée est forcément quelque chose de bien.
Même quand elle est mauvaise.
Le champignon qui puise son énergie bienfaitrice à l'intérieur de son «mycélium», qui est un peu le témoin de son existence, pour se transformer en une forme très belle, comestible presque toujours, s'apparente pour moi ce soir à une idée.
Le mycélium de l'idée serait l'expérience de vie de la personne qui ose l'exposer, l'idée. Parce que l'idée, contrairement au champignon qui se concrétise en sortant de la terre, en montrant sa beauté, l'idée reste vaguement dans l'air, tourne autour, nous hante. Elle nous laisse tomber. Elle s'en va. Ne revient plus.
Elle ne revient plus si nous la laissons tomber comme une vieille chaussette trouée, comme un amour vécu vide de son sens, que nous traînons derrière nous.
Mais une idée qui fait son chemin est la base de la création. Même Dieu avant de créer le monde, il a dû sûrement en avoir l'idée. Et à ce qu'il paraît, il l'a concrétisée. Je pense toutefois qu'il s'est fait avoir dans un maillon de la chaîne de production. Parce que l'idée du monde, elle était bonne en soi mais pour l'homme, il s'est franchement trompé dans la composition. II a mis trop de cupidité, d'avarice, de méchanceté et j'en passe. Bref personne n'est parfait. Surtout pas Lui. Pour cette fois, je l'excuse.
De grands dictateurs, avant de commettre les atrocités qu'ils ont commises, en ont eu l'idée. Je rectifie, l'idée n'est pas forcement quelque chose de bénéfique pour l'être humain. Cela dépend toujours pour qui.
Les personnes de pouvoir et tous leurs acolytes ont dû jouir de leurs idées.
Je reviens à mon idée première, celle de t'écrire. Donc l'idée en elle-même peut être bonne ou mauvaise. Je crois qu'au fil des phrases, je me contredis, mais la contradic­tion n'est-elle pas une source d'idées non négligeable?
Si nous n'avons pas le courage d'exposer nos idées, au sens propre, nous courons tout droit vers la dictature intellectuelle. En les exposant, nous nous exposons, nous ouvrons nos tripes. En parlant de tripes, nous risquons la maladie de la vache folle,
pardon la maladie du fou, qui est étroitement liée à l'idée même, l'idée fixe, obsession­nelle, qui tourne en rond, qui ne te lâche pas, qui te bouffe de l'intérieur, qui te suicide (salut maman! quel acte de courage pour une lâche, snif! snif! paix à son âme). Parfois je me demande si le saint (ou le sein) en vaut la chandelle. Il n'y a pas beau­coup de personnes qui ne sont pas des lâches, qui osent afficher leurs idées. Et vu que nous sommes dans la bonne période, le Christ est mort sur la croix pour avoir affiché les siennes.
Giampie Snozzi

 

 

 

 

 

Da: michele licheni < envida@tiscalinet.it >
Risposta: "Enrica Vidali" < envida@tiscalinet.it >
Organizzazione: Enrica Vidali
A: Nando Snozzi <nando_snozzi@tiscalinet.ch >
Data: Martedì, 15 maggio 2001 22:03
Oggetto: Maestro del fiume azzurro

Maestro del fiume azzurro, sodale alpino, fraterno cosmopolita, eccomi a Voi sulle onde del tango di Piazzolla et su quelle a Voi note dell'isola, che placide quest'oggi mi cullano mentre altrove si consuma la furia degli eventi et la cialtroneria o l'infondatezza catodica a suffragio d'una idea egoistica et narcisistica dei più.
La democrazia è un pachiderma ferito a morte; la solidarietà anch'essa muore et così un'idea di giustizia et di arte poiché sempre meno intravedo quella singolare luce caravaggesca capace di squarciare le incupite ombre di questo nostro quotidiano di surplus, fame, guerra.
Tra i rari esempi di squarci luminosi, di pittura et coerenza , ecco allora giungermi puntuale la Vostra fiaba di colori et forme classiche ove -quantunque le infernali avversità del tempo- pos­siamo cogliere un fiore ed un sorriso. Et la diversità concettuale et formale come possibilità d'ar­ricchimento umano.
Le linee cromatiche et i soggetti nel campo delle scenografie da Voi create, pur liberando la tur­bativa artistica della contraddizione, mai appaiono schizofreniche, tanto meno prone.
La Vostra mi appare come la " epifanica opera della deuturnazione " in un tempo in cui -ahimé- omologazione et spettacolarizzazione confondono il "prodotto del mercato" col "fare artistico". Per trame, interpreti et vastità di campo colgo nella Vostra opera una profonda sintonia -permettetemi l'azzardo- una solenne analogia, un tributo al melodramma italiano.
Rossini, Donizetti, Verdi, Puccini; bassi, baritoni, tenori; soprani, mezzosoprani, contralti et voci bianche, ben compaiono et s'alternano nelle vostre tele, in un ensemble fantasmagorico et dinamico in cui -cinematicamente pur sempre al limite- tragedia et proporzione vengono sempre rispettate.
Non manca, ben oltre il melodramma italiano, un guizzo d'ironia mozartiana che qua et là si mes­cola alla brezza dei luoghi che via via digradano verso il lago Maggiore.
Parola dopo parola, silenzio dopo silenzio, colore dopo colore, tela dopo tela, nota dopo nota, finalmente concludo questa lettera-scorribanda in onore al Vostro "fare" che per fortuna vive ancora all'altezza del Vostro sogno, in equilibrio, senza mai scendere dalla corda dell'immagina­rio.
Situazionisticamente dalla selva dell'isola di Sardi
Vostro di sempre Michele Licheni


De: michele licheni < envida@tiscalinet.it >
Réponse: "Enrica Vidali" < envida@tiscalinet.it >
Organisation: Enrica Vidali
À: <Nando Snozzi <nando_snozzi@tiscalinet.ch >
Date: mardi, 15 mai 2001, 22:03
Objet: Maître du fleuve bleu


Maître du fleuve bleu, camarade alpin, fraternel cosmopolite,
Me voici à vous sur les ondes du tango de Piazzolla et sur celles de l'île, que vous connaissez; sur ces ondes qui, aujourd'hui paisibles, me bercent, tandis qu'ailleurs se consument la furie des événements, et la friponnerie ou l'incohérence qui en émane, pour une idée égoïste et narcis­sique de la plupart des gens.
La démocratie est un pachyderme blessé à mort; la solidarité elle aussi se meurt et, partant, une idée de justice et d'art puisque j'entrevois toujours moins cette lumière à la Caravaggio capable de déchirer les sombres ombres de ce quotidien de surplus, de faim et de guerre qui est le nôtre. Parmi les rares exemples de trouées lumineuses, de peinture et de cohérence, voilà que m'ar­rive, ponctuelle, votre fable aux couleurs et aux formes classiques dans laquelle - en dépit des adversités infernales du temps - nous pouvons cueillir une fleur et un sourire. Et la diversité conceptuelle et formelle comme possibilité d'enrichissement humain. Dans le domaine des scénographies que vous créez, les lignes chromatiques et les sujets, tout en libérant le troublant tourment de la contradiction, n'apparaissent jamais ésotériques, encore moins faciles.
Votre ceuvre m'apparaît comme l'«oeuvre révélatrice de la durabilité» dans un temps où -hélashomologation et spectacularisation confondent «produit du marché» et «savoir-faire artistique». À travers la trame, les interprètes et l'étendue du domaine, je saisis dans votre ceuvre une pro­fonde syntonie -permettez-moi cette audace- , une solennelle analogie, un tribut au mélodrame italien.
Rossini, Donizetti, Verdi, Puccini; basses, barytons, ténors; sopranos, mezzosopranos, contrealtos et voix blanches apparaissent bien et alternent dans vos toiles, en un tout fantasmagorique et dynamique dans lequel - dynamiquement pourtant toujours à la limite - tragédie et proportion sont constamment respectées.
Bien au-delà du mélodrame italien, un frétillement d'ironie mozartien est bien présent qui, çà et là, se mêle à la brise des lieux qui, peu à peu, s'abaissent par degré vers le lac Majeur.
Mot après mot, silence après silence, couleur après couleur, toile après toile, note après note, je conclus enfin cette lettre-digression en saluant votre «savoir-faire» qui, heureusement, vit encore à la hauteur de votre rêve, en équilibre, sans jamais descendre de la corde de l'imaginaire. «Situationistiquement» (1) de la forêt de l'île Sardi,
votre ami de toujours, Michele Lichen.

(1) En référence au mouvement artistique des années soixante qui prônait une critique radicale de la société du spectacle.

 

 

 

 

 

Da: fabrizio scaravaggi <fscaravaggi@yahoo.it>
A: Nando Snozzi <nando_snozzi@tiscalinet.ch>
Data: Lunedì, 21 maggio 2001 10:07
Oggetto: Did, Ari, Aria? (a nando)

("Did, Ari, Aria?" - è la questione del loro amore;l'interrogativo posto dalla loro relazione amorosa - della quale noi non ne sapremo che frammenti di possibili risposte - è da un po' che le verità non si disvelano nelle nostre quotidianità)
Aria cozzò in Ari sette anni orsono: 1 pak!, al supermercato, bastò per farli partire in quell'avventura della quale il loro album (*Ari bum bum Aria*) non riporta che alcune sequenze. Sono stati più volte nella taverna amica di Santostefanoalfiume, così come altre nella periferia di Kiev e di Belgrado, o - nascosti - tra le colline di Niergendwo.
Di Aria sappiamo soltanto che è, dice Ari, 1 grangnocca; e che nella lingua degli antenati suoi il suo nome significa 'piccoloriso', 'riso' nel senso di 'ah!ah!' e non di 'gnam gnam'; sappiamo pure che il suo diario d'amore inizia con: "Ari, Ari, bla bla bla. Ari, Ari, bla bla bla". Adorabile ginepro in fiore!
Di Ari preferiamo non dire, per pudore. È 1 becco selvatico, 1 montatore ecologico, 1 ma non sarà mai 1 porco! Da piccoli lo chiamavamo 'Articolo' a seguito di 1 sua evidente menomazione fisica Bé, è evidente ma non in esposizione; quindi soltanto noi pochi intimi sappiamo di che si tratta - tièh!
Per noi, amici di merende, la loro storia era 1 realizzazione del modello mitico, insomma: 1 cover di 'A/da/me/de/va - la lagna bella dei peccatori erranti'.
E loro, e loro sciallo lui e mandrilli lei - vai, vai che si zompa Dio cantante! Costante lei, coerente lui; arrapata lei, arrapato lui; e-migrante lei, e-migrante lui; insomma, 1 goccia d'acqua con due pagliuzze che si attorcigliano come chiocciole e rifrangono i cieli e gli oceani mmh, all'albicocca.
Tutti li abbiamo visti ogni fine settimana, esclusi quelli dei loro periodi di ferie, nei centri commerciali della zona. Dei consumatori inappuntabili, direi svizzerotedeschi: attenti al rapporto qualità/prezzo, alle date di scadenza e alla biosolidarietà. Due begli esemplari della nikegeneration; presenti nei tornei per l'elezione del tipico ad hoc per la categoria commerciale di riferimento, e questo sia nel a-singoli sia nel a-coppie come nel a-squadre; più volte vincitori dei titoli di miss&mister sony, di coppia nestléilnido dell'anno, oltre che membri attivi della squadra da anni n.o1 nel padrinato adidas per l'Albania.
Ari e Aria, belli perché impegnati! E, inoltre, ripetutamente sbattuti sulla copertina del settimanale di quartiere, sponsorizzato da 1 politico neopopulista e magnaccia con i soldi dei contribuenti. Wow
Se vi parlo di loro due è perché devo dirlo a qualcuno che ieri ho subito un duro colpo basso (nelle certezze, beninteso; non nel corpo!): Ari e Aria si sono piantati! Trak lasciati, rotto l'incanto, mille cazzate da incazzati, finito, basta, addio, vomito.
E della favola bella "Did, Ari, Aria?"? Chissene (nel senso di 'chi se ne frega'): trombata! Cosicché io me ne torno ciottociotto sul balcone a farelacacca nel vasetto, mentre loroduestronzi se ne vanno affanculo nudi nel carrellodellaspesa. Stop

© Fabrizio Scaravaggi

 

 

 

 

 

LUCE, VOLTO, VIOLENZA E SACRO.

In principio era il Kaos.
“Elohim dice: sarà una luce. Ed é una luce.
Elohim vede la luce: é bello! Elohim separa la luce dalle tenebre.
Elohim grida alla luce: Giorno!
Alle tenebre grida: Notte!” (Genesi: 1,3-1,5)
È venuta in mente, subito, la Scrittura con il primo atto creativo che é violazione. La luce appare e fende abbagliante lo spazio che si dispiega infinito nella sua immaterialità amorfa, segnandolo implacabilmente. È, la Creazione, metafora per eccellenza.
L’istinto creativo attinge inesorabile alla metafora della violazione. Non ha, come il Dio, la Parola, ma colore e luce, colore ed energia, colore e libido.
Questa creazione pittorica emerge inarrestabile esprimendo il fascino apocalittico dell’esperienza interiore. Essa non é mai risoluzione univoca, segno unico che racchiude e consegna in modo definito l’oggetto rappresentato. Essa contiene la violenta potenza che appare netta e senza ambiguità, si impone imperiosa attraverso la forma; come se ogni corpo, ogni volto traesse da una primordiale energia la capacità di autoplasmarsi.
L’opera parla un linguaggio violento, ma anche immateriale nella tragica rappresentazione dell’Evento.
Cos’é violento? Il contenuto dell’oggetto rappresentato, certo. Un percorso alla Croce non può essere che terribilmente violento. La progressiva anabasi verso la morte trova la sua necessaria “coniunctio” con la violazione.
Cosa viene violato? La stessa concezione di umano è strappata, colpita senza ritegno, calpestata. La “pietas” pare annichilita, non ha più alcun diritto sul Volto improbabile. La spoliazione é totale: é già avvenuta nel momento della condanna. Il volto dell’abietto sta dinanzi a noi. Quale sentimento può ispirare se non inquietante ripulsa la visione del volto che contiene la propria miseria, sintesi della miseria inconfessata.
Come può esprimersi in immagine evocativa il percorso della violazione?
L’atto creativo, é stato detto, é violento. L’opera dell’artista si delinea attraverso atti che condensano i momenti propri di un unico divenire. L’impulso istintuale trascina in sè l’inebriarsi orgasmico della potenza creatrice a cui succede, come necessario compimento, il pensiero. Ed allora esso discrimina l’informe e simbiotica vita della materia separando (levatrice dell’arte) la matrice originaria e riconsegnandola trasformata in condensazione evocativa.
L’opera abbraccia spazi che altri dicono impropri, coniugando la potenza della sacralità che si umanizza in un tempo immemore e ritrovandola purificata nella disumanità degli attuali volti incontrati nel fluire delle sotterranee strade metropolitane. Così la trasgressione riecheggia la sofferenza del percorso sacrificale non attraverso la rappresentazione appagante dei segni del racconto, ma fa rivivere il racconto nella scansione dei segni del Volto, sintesi estrema degli eventi osservati e vissuti.
Dissacrare questo Volto é farlo divenire “Altro”. Si presenta nella tela nuovo e senza nome. Emergono dall’inconscio antichi misteri che si depositano su di esso come segni scavati da mugghianti ricordi.
Tolto lo schermo delle incrostazioni accumulate dal trascorrere di mille vite, l’anima ha mutato il volto bulinando incessantemente la materia del corpo.
Un volto che non é stato lambito dalla vita, ma travolto, quasi una mano implacabile lo abbia immerso nel vortice di acque dilavanti e corrosive. Tutta la vita sfocia in un attimo e sembra raggrumarsi nelle pieghe del Volto.
Nell’incandescente opera dissacrante è possibile finalmente squarciare il velo formale che ricopre l’immagine e fare emergere il volto disvelandolo nella sua tragica verità.
E infiniti nel volto appaiono i contatti tra luce e materia rivelandosi diversi gli uni dagli altri, accostandosi e fondendosi in innumerevoli giochi di colore senza mai annullarsi.
Il Volto, tolto il vincolo mistificante della ammantata sacralità rimane pietrificato, la bocca spalancata in un grido senza voce, nel vedere la grandezza e l’0rrore di questo spettacolo frutto del suo pensiero.
Il disvelamento impietoso della lacerante verità, partorita con furore audace, pervade l’anima di iconoclastici turbamenti. Appare l’immagine dilatata, l’incombenza del Volto che assume su di sè l’incubo dell’Evento, in una rappresentazione talmente reale da evocare l’allucinazione della morte. Non più la morte che annulla, limite da varcare senza ritorno, ma discesa verso il limo, laddove si perde il corpo nell’avvolgimento caldo e umido della terra. E il Volto ancora riflette, nel buio sepolcrale antecedente la liberazione, la luce catacombale che ne impregna la superficie.
La verità violata diventa verità disvelata.
La Parola risale al suono primigenio, l’immagine ricongiunge la Materia, il Colore, la Luce.


Antonio G. Marcello

  < > , 12.03.2010
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